Tra le massime scritte sul muro del maestro Naoshige era riportata questa: “Materie di grande importanza dovrebbero essere trattate con leggerezza.” Il maestro Ittei aggiunse un commento: “Materie di poca importanza dovrebbero essere trattate seriamente.”
Cos’è l’arte difronte alle tragedia, le guerre, la crudeltà? A cosa servono i videogiochi, i film e la letteratura in un mondo in cui signoreggia il verme conquistatore1?
Cosa rimane dopo che il sipario cala come un lugubre drappo mortuario sulla scena? Niente, e a nulla servono le storie.
Ecco perché dovremmo trattarle con la massima serietà. Mentre ridiamo, con il teschio di Yorick tra le mani.
È una sera di gala, ecco, fra tanto
squallor di questi nostri anni di duolo;
ed uno stuolo d’angeli, uno stuolo
alato, inghirlandato, immerso in pianto,
siede raccolto in un teatro e mira
(mentre un’orchestra ad ora ad or sospira)
la musica lontana delle sfere.
Mimi fatti ad immagine di Dio,
vocian fra loro o mormorano chiocci,
ed errano qua e là, meri fantocci,
in faticoso eterno tramestio
al vedere degli esseri spettrali
che muovon gli scenari ed i teloni,
e lasciano cader dalle grand’ali
le tenebrose maledizïoni.
Oh, il tristissimo dramma! Per assai
tempo ci sarà davvero ricordato,
col suo fantasma ognor perseguitato
da un’orda che nol può cogliere mai
in un giro che volge sempre uguale
e sempre al punto stesso si richiama;
e coll’error, colle follie, col male
che ne formano l’anima e la trama.
Ma tra il gruppo dei mimi, ecco, repente,
insinuarsi con spire orride d’angue
una viscida forma color sangue,
che s’annoda e si snoda orridamente.
Sovra la scena, i mimi sua conquista
divengono e sua preda a mano a mano,
e singhiozzano gli angeli alla vista
del mostro che maciulla sangue umano.
Tutto s’abbuia. Tutto e nulla resta,
e, sovra la catastrofe, il sipario
come un lugubre drappo mortuario
precipita con rombo di tempesta.
Ed ecco, surto in piè, lo stuolo alato
— pallido in volto di glacial pallore —
proclamare che il dramma è intitolato:
«Uomo» e l’eroe: «Il verme conquistatore».
- Edgar Allan Poe, 1843