COME FUNZIONA LA SATIRA
La satira attacca laddove ci sentiamo più a nostro agio. Per questo non è possibile definire i limiti e il target del genere satirico, perché essi cambiano radicalmente a seconda del momento storico, a seconda di quali sono i nervi scoperti della società. L’autore satirico è bravo a riconoscere le ferite aperte, non per cercare di guarirle ma per mettere il dito nella piaga più in profondità che può.
Tutti i temi dove il bigottismo diventa più resistente dell’argomentazione, sono passibili di essere satirizzati. Si deve ridere di tutto. Perché la risata è un fine in sé stessa: ci aiuta a mettere tra parentesi le nostre certezze più granitiche, che siano positive o negative. Per fare un esempio, oggi, negli Stati Uniti, fare satira in un locale di New York a Manhattan riguardo a Trump e ai complottismi e ai razzisti, non è fare satira. In quell’ambiente fare satira significa mettere il naso sul politically correct, sull’inclusività e sugli eccessi bigotti dei movimenti civili. La satira non ci fa sentire a nostro agio. La regola aurea per riconoscerla è proprio quella: se mi fa sentire parte di un gruppo confortevole, se mi fa sentire dalla parte giusta, allora non è satira.
I PROBLEMI DEL FILM
Don’t Look Up, nuovo film di Netflix che conterà tra la quasi totalità dei suoi spettatori persone che basano il giudizio di un film sulla base del suo cast attoriale, non è un film satirico. Non lo è perché qualsiasi target noi attribuiamo al film come, sarebbe un fallimento:
Se il target del film è chi già pensa più o meno quello che il film cerca di far emergere, allora il film è inutile perché non riesce a trasfigurare in un simbolismo artistico potente le sue idee e non si stacca mai dal tentativo di essere solo un film satirico;
se il target è invece il bersaglio della critica del film, per intenderci il complottista che ha votato per Trump alle ultime due elezioni americane o il suo corrispettivo nelle altre parti del mondo, il film ha un effetto di radicalizzazione estrema perché mette in ridicolo le idee dei complottisti in modo troppo grossolano e superficiale.
La strategia comunicativa di un testo satirico è quella di farci sentire coinvolti in quello di cui sta parlando, di chiamarci in causa in prima persona, per poi sbatterci in faccia il conto e con la battuta finale, mostrarci che non è poi così bello essere nel gruppo di persone che credevamo fosse il migliore. Per fare sì che la critica abbia effetto, tuttavia, il primo passo della strategia deve essere estremamente efficace: prima di dirci che facciamo schifo, la satira deve dirci di chi sta parlando. Chi è che fa schifo? Deve fare un ritratto in cui è possibile identificarsi, in cui ci sentiamo accolti e possiamo accomodarci. Ci sentiamo capiti e coccolati, per poi ricevere una randellata in faccia alla fine.
Don’t look up fallisce proprio in questo momento cruciale della costruzione del testo satirico, perché fa un ritratto di chi satirizza talmente grezzo e superficiale da non risultare minimamente empatico per chi viene messo in ridicolo. Il personaggio più emblematico in tal senso è il capo di Gabinetto della presidenza, che è il personaggio che più si richiama a Trump. Ma il regista commette l’errore di confondere la percezione di schiettezza con l’articolazione di una strategia della schiettezza. Quello che in questo film non emerge è che il comportamento di Trump o del Salvini di turno, sono comportamenti altamente strategici e studiati. Anche la schiettezza e la familiarità che suscitano, la suscitano per una chiara strategia comunicativa, non per motivi casuali.
Il capo di Gabinetto invece, dice delle cose totalmente casuali, senza una direzione comunicativa che faccia percepire la presenza di uno studio della sua schiettezza. Questa superficialità del regista rende la satira del tutto inefficace per chi viene satirizzato e fa perdere interesse a chi è già d’accordo con l’opinione espressa nel film.
Questi sono i problemi testuali per quanto riguarda la satira. Ma il film ha problemi enormi in generale dal punto di vista narrativo, di ritmo, nella costruzione dei personaggi e nello sviluppo della trama. C’è una intera sezione, quella della popolarità del personaggi di DiCaprio, per intenderci, che se non ci fosse stata non avrebbe cambiato nulla nel film. E questa è la regola aurea per valutare la densità di un’opera: provate a togliere un personaggio, una scena o un dialogo e vedete cosa succede all’opera. Se non cambia nulla, allora vuol dire che era inutile.1
Ma forse il peggiore dei difetti del film è la sua insostenibile passione per la didascalia. I dialoghi tra i personaggi non sono dialoghi ma spiegazioni di quello che sta succedendo. Come scrive Gabriele Nicola nella sua recensione su Wired che condivido per la maggior parte (non totalmente, perché a differenza sua, a me il film non ha nemmeno fatto ridere):
“Don’t Look Up è cinema urlato in modo che l‘ultimo degli spettatori di Netflix capisca la metafora e di essere di fronte raffinata satira più che la solita commedia.”2
COME HO IMPARATO AD AMARE LA BOMBA
Prendiamo come esempio di buona satira cinematografica, ad esempio, Dr. Strangelove di Kubrick. Perché lo ritengo un film infinitamente migliore di questo? Il paragone ha senso perché entrambi sono film comico-satirici sulla fine del mondo, che cercano di ridicolizzare le decisioni politiche che portano al collasso la vita sul pianeta. Nel caso del Dr. Strangelove il tema era l’arma atomica, in Don’t Look Up è la cometa. Anche nel film di Kubrick i comportamenti dei personaggi sono estremamente stupidi e ridicoli, ma in quel caso il regista aveva voluto mettere l’accento non sui comportamenti dei personaggi bensì sulla cecità burocratica automatizzata dei protocolli che decidono del destino dell’umanità. Il film di Kubrick è un film kafkiano, perché mette in ridicolo il momento in cui il sistema passa dall’essere protezione a essere minaccia per i suoi stessi ideatori.
Inoltre le reazioni dei personaggi per quanto parossistiche e parodizzate sono estremamente coerenti nel loro delirio. Non ci sono orpelli, il film segue una linea chiara e rimane solo l’essenziale, senza divagazioni nella vita personale dello scienziato che finisce a scopare con la presentatrice tv solo perché Cate Blanchett doveva avere una parte nel film. L’emblema di questa coerenza del parossismo sta in una delle scene finali, in cui il capitano dell’aereo che trasporta gli ordigni nucleari precipita dall’aereo cavalcando la bomba con un cappello da cowboy in testa, mentre lancia un ideale lazo in aria.
Non servono continui dialoghi da parte dei personaggi per far capire il senso di quella scena, e anzi essa sarà tanto più potente quanto sosterrà da sé il suo significato e le sue interpretazioni possibili: il militare come nuovo cowboy, l’accusa all’imperialismo americano, la follia della bomba, la bomba come enorme pene, ecc. Sono tutte vie interpretative possibili e sono stratificate all’interno della scena che risulta così ricca e sfaccettata, pur mettendo in mostra un comportamento estremamente stupido.
Questo è il punto: per mettere in scena la stupidità ci vuole grande intelligenza, e per mostrare la superficialità bisogna essere estremamente profondi nella stratificazione di significati della narrazione. Altrimenti si finisce per risultare esattamente come gli stupidi che si cerca di rappresentare.
Questa tesi è di Aristotele, la esprime nella Poetica.
www.wired.it/article/dont-look-up-netflix-cinema-uscita-recensione
D'accordo su quasi tutto. Se il film aveva l'intenzione di configurarsi come satira o, peggio ancora, come critica di una certa parte della società, si può dire che l'obiettivo non sia stato minimamente centrato. Diversi i motivi, alcuni dei quali sono stati ben messi in mostra da te:
- Ridicolizzazione (non satira) della gestione della crisi da parte del potere
- Mancata riflessione sulle strategie di comunicazione politica o, comunque, una visione naive della questione.
Mi sembra un'opera in un certo senso incompiuta, che avrebbe potuto dire tanto (o forse noi avremmo voluto che dicesse di più?). Non ci riesce per le contraddizioni che hai evidenziato.
Una cosa sola mi è sembrata azzeccata. L'accento posto sulla "miopia", una miopia al tempo stesso sociale e politica. Qui l'idea devo dire è stata resa bene. Il problema (la cometa in questo caso, ma si può sostituire con "crisi ambientale", Covid, crisi sociali, guerra, crisi finanziarie ecc.) interessa soltanto quando possiamo accorgerci di esso. Prima di quel momento, resta appannaggio di discussioni in seno alla comunità di esperti che se ne occupa. Questo è l'unico spunto critico interessante fornito dal testo; per quanto, anche qui, ci sarebbe una domanda da porre.
Siamo proprio sicuri che, in un paese civile e avanzato, come possono essere da diversi punti di vista (ma non tutti) gli USA, non esistano dei meccanismi di contenimento dell'arbitrarietà della decisione del team presidenziale? O anche questo fa parte di una visione del tutto ingenua e semplicistica della governance?
Si è diffusa la tendenza, soprattutto in alcuni ambienti (sinistroidi principalmente) a rappresentare il potere (quando è quello della parte avversa) come assolutamente privo di qualsivoglia indirizzo razionale, un potere del tutto irrazionale e istintuale. Questo, in generale, vale per tutte le idee che non rispettano i parametri con i quali abbiamo deciso di configurare il nostro mondo. E qui la domanda me la pongo io: è davvero così o semplicemente non riusciamo a immaginare una configurazione diversa (ugualmente degna o, persino, migliore) dalla nostra?
Comunque, grazie per l'interessantissimo spunto