Chi custodirà i custodi?
Non è una domanda provocatoria, è la domanda che dobbiamo continuare a ripeterci per sfuggire a quello che Eco chiama fascismo eterno, l’ur-fascimo, quello di qualsiasi colore, dal comunismo, al nazismo, all’Inquisizione, alle maglie sempre più strette del politicamente corretto.
Viviamo in un’epoca in cui la figura dell’eroe è particolarmente centrale nella cultura popolare. La storia del riscatto, del sacrificio, della vittoria, è un modello commercialmente invincibile: la Marvel l’ha mostrato chiaramente. Vogliamo vedere opposti gli uni agli altri, eroi e villain. Ci serve qualcuno che si faccia carico della responsabilità della salvezza del mondo, ci servono messia, agnelli sacrificali, perché ci sollevano dalla paura di agire, dalla responsabilità della scelta.
La fede nell’eroe aderisce allo stesso modello della fede in una ideologia, perché entrambi questi comportamenti rispondono alla stessa paura: la paura della responsabilità individuale. Il dogmatismo è la fuga dalla paura dell’errore, l’adesione a un modello di cui non abbiamo responsabilità, e quindi di cui non abbiamo colpe.
Il dogmatismo eroico è lo stesso della religione, delle ideologie, delle ricette buone per ogni occasione, del tifo e del partito. Del pugno alzato sempre, delle camicie, che siano rosse o nere, degli ultras, del violento. Ci sentiamo al sicuro nel gruppo, nel conformismo acritico dell’indistinto. Fuggiamo dall’errore, e appendiamo il nostro pendolo dove il declivio della collina ci accomoda, per caso, più docilmente. Costruiamo campanili dove per caso ci siamo trovati a nascere, costruiamo cattedrali intorno alla nostra biografia.
Siamo veloci nel cedere la nostra libertà nelle mani di chi ci assicura che non potremo sbagliare più da ora in poi. Per questo ci servono eroi. Ci servono eroi perché sentiamo che il male è troppo perché noi riusciamo a estirparlo, perché i rischi sono troppi per correrli senza fuggire. Abbiamo bisogno di eroi per poter avere fiducia nel progresso senza dover sentire la fatica della ricerca e la paura che la ricerca conduca a un vicolo cieco. Abbiamo paura di sbagliare perché il mondo è grande.
Io non voglio un mondo di eroi. Non voglio un mondo dove gli eroi siano necessari. Voglio un mondo dove non succede granché, dove l’eroe sarebbe uno zimbello, una grottesca imitazione di virilità, un’esibizione per un pubblico imbarazzato che ride sprezzante della presunzione e dell’eccesso. Voglio un mondo dove l’eroe e il messia non ha nulla per cui sacrificarsi, come dice Lennon nella canzone, nothing to kill or die for. Non voglio morire per le mie idee, voglio poterle difendere finché posso senza sentire il dovere di difenderle per sempre. Morire per le tue idee ti costringe a essere martire, e ogni martirio è un dogmatismo.
La democrazia è un continuo disinnesco dell’epicità. Questo ho capito. Che le storie epiche, le saghe e le grandi storie cosmiche e universali ci appassionano tanto perché ormai la dose reale di epicità è rosicchiata giorno per giorno dai nostri sistemi politici, dalla democrazia, un’immensa macchina di disinnesco dell’epico, uno stratagemma di tranquillità, di appiattimento del tragico, di risoluzione del problematico, attraverso una serie di espedienti diplomatici, che sono l’esatto contrario del dramma letterario, dell’evento narrabile. La democrazia è più simile al lavoro del meccanico che del poeta.
Disinnescare gli eventi per cui sarebbe necessario l’eroe, il sacrificio. Prevenire e non curare. A ogni livello della nostra vita democratica si verifica questo meccanismo, dalla sanità all’istruzione. Ed è il traguardo della ragione, della ragionevolezza, del pragmatismo.
Come Brecht fa dire a Galileo nel capolavoro Vita di Galileo, “sventurata la terra che ha bisogno di eroi.” Galileo dice questa frase in un momento estremamente drammatico: ha appena abiurato e, malfermo e cieco, esce dal palazzo dove ha appena rinnegato le sue ricerche e fuori lo aspettano i suoi discepoli, che nel suo coraggio e nel suo eroismo riponevano le speranze per un riscatto epico. Galileo sa che la verità ha bisogno degli uomini che la difendono per imporsi, ma sa anche che non vuole diventare un simbolo: vuole vivere, vuole mangiare e bere e continuare a fare ricerca.
Vita di Galileo è un manifesto anti fascista, mi ha ricordato in particolare il già citato Fascismo Eterno di Eco e Watchmen di Alan Moore. In tutti questi testi, gli autori fanno una critica al fascismo problematizzando la figura dell’eroe, usandola come cartina di tornasole per capire il grado di fascismo in cui si vive, a seconda della voglia di eroismo che il mondo richiede per risolvere i suoi problemi. Quello che questi testi ci insegnano è che non bisogna mai arrivare al punto in cui servono eroi. Perché a quel punto è già troppo tardi.
L’eroe è dopotutto un dogmatico per i dogmatici. Qualcuno che crede di avere la verità assoluta ed è disposto a tutto pur di dimostrarlo, credendo che il sacrificio della propria vita sia un argomento a favore di una tesi.
L’assolutizzazione della verità crea necessariamente un atteggiamento assolutista. È una caratteristica del concetto di verità assoluta quella di implicare violenza per imporre quella verità. È quello che avviene in Watchmen, è quello che è avvenuto con l’Inquisizione Cattolica, con i lager nazisti o con la censura in ogni parte del mondo e della Storia in cui qualcuno ha avuto abbastanza potere da decidere quale fosse l’unica verità ammissibile. In tutti questi esempi c’è qualcuno che pretende di avere una verità universale, superiore a tutte le altre. E quando qualcuno si convince di questa illusione, è già troppo tardi, perché se credo che la mia idea sia la sola verità possibile, farò di tutto per imporla. Avrei troppo da perdere a non farlo.
Questa “Sindrome del messia”, di cui il Mito della Caverna di Platone è un ottimo esempio letterario: una volta che sono stato liberato dalla caverna e ho visto la luce del sole, devo salvare coloro che sono ancora rinchiusi nella caverna. Ozymandias, in Watchmen si illude di essere proprio un privilegiato liberato dalla schiavitù della caverna. È questa situazione di Verità assoluta che Watchmen critica: Alan Moore ci mette in guardia dall’oltrepassare il punto di non ritorno che varchiamo quando ci illudiamo che esista una verità universale e assoluta. Chi viene liberato dalla caverna ha troppo da perdere a non tornare a liberare gli altri. Questo è quello che pensa il messia. È talmente convinto della totale irrinunciabilità della sua visione da essere disposto a tutto pur di mostrarla agli altri.
La democrazia al contrario, è il tentativo di eliminare tutte quelle situazioni in cui avremmo troppo da perdere: le nazioni, la verità e dio. La democrazia è il tentativo di ridurre le verità universali a verità private così da renderle inoffensive. Questo sarebbe un mondo senza eroi, ma di persone per bene.
LIBRI CHE CONSIGLIO PER APPROFONDIRE IL TEMA
Il fascismo eterno, Eco
Vita di Galileo, Brecht
Watchmen, Moore
La società aperta e i suoi nemici, Popper
Le origini del totalitarismo, Arendt
Il pendolo di Foucault, Eco
Quando siete felici fateci caso, Vonnegut
Congetture e confutazioni, Popper
Il saggiatore, Galilei
L’arte di sbagliare, Schultz